Settembre 2018
In maniera quasi rocambolesca, ma non del tutto casuale, alla nostra prima volta in un laboratorio analisi con nostro figlio, io e il mio compagno decidemmo di inserire all’interno di un check up previsto per altre indagini, anche un primo approfondimento verso la celiachia. “Nel più ci sta il meno”, pensammo, sconsolati ma determinati. Avevamo bisogno di dare un nome ai tanti, troppi disturbi del nostro bimbo, per questa ragione ci lasciammo guidare dall’istinto e da un buon senso tipico di chi ha già nel cuore le risposte.
Samuele
In realtà però, non avevamo ancora idea di quanto preziosa fosse quell’intuizione.
Gli esiti parlavano chiaro, il nostro piccolo, con un ormai evidente blocco della crescita (altezza/peso) e altrettanti problemi legati all’alimentazione, aveva qualcosa che non andava. Ripetemmo così, per una conferma definitiva, tutti gli esami diagnostici previsti, che altro non fecero che confermare una fortissima positività al glutine (con annesse difficoltà tiroidee e nel fegato).
Immediata fu la nostra richiesta, sotto guida attenta della pediatra, di prima visita urgente presso il reparto di gastroenterologia pediatrica, in uno dei maggiori ospedali della nostra città. Esperienza tutto sommato serena nonostante le nostre crescenti preoccupazioni, in cui ci è stato fornito un primo livello di supporto oltre alle necessarie facilitazioni previste, ma pur sempre limitato ad un contesto di assistenza sanitaria ospedaliera con tempi e disponibilità non sufficienti a colmare i nostri tantissimi e crescenti dubbi. Usciti da lì, compreso che avevamo definitivamente varcato la soglia della celiachia, ancora non avevamo idea di quanta strada avremmo dovuto percorrere e soprattutto, a quanti cambiamenti la nostra famiglia sarebbe andata incontro, per noi stessi, per lui, ma anche per lei, la sorella maggiore di 6 anni, alla quale, come genitori, abbiamo chiesto sin da subito il massimo dell’aiuto verso il fratellino, probabilmente non valutando al meglio quelli che potevano essere anche i suoi, di bisogni.
Presi dallo sconforto e dalla confusione che si è materializzata nei giorni seguenti, tra goffi tentativi di decifrazione di etichette mai incontrate prima e un’abitudine familiare completamente distrutta e in preda al panico, abbiamo iniziato a vacillare. Proprio così, le settimane successive alla diagnosi le ricordiamo come le più dure, con le poche certezze in nostro possesso sgretolate e in contemporanea, una sempre più attiva ricerca spasmodica di risposte (confuse ed a tratti allarmanti) e milioni di informazioni sul web (troppe davvero e fin troppo difficili da far proprie). Sì, i nostri sforzi, nella quasi più totale solitudine, si rivelarono giorno dopo giorno meno proficui e, con il crescere della stanchezza e della difficoltà nella proposta di nuovo cibo, perdemmo l’equilibrio necessario ad ogni famiglia. I pasti, con immense fatiche, risultavano a dir poco stressanti, con scarsissimi risultati e ancor meno miglioramenti.
Samuele infatti, rifiutava quasi del tutto quel momento di condivisione ormai snervante per ognuno di noi, compresa la sorella maggiore, Sofia, che sempre più spesso si ritrovava costretta a mangiare di nascosto, di giorno in giorno più frustrata verso un cambiamento significativo nella sua vita che proprio non riusciva ad accettare. La vera svolta, finalmente, giunse però, anche per noi; genitori stanchi e frastornati, arresi agli eventi, quasi convinti che solo un lungo lasso di tempo avrebbe potuto concederci una tregua da quella nuova morsa che ci aveva improvvisamente stretti e da cui sembrava impossibile uscirne.
La nostra iscrizione in AIC Emilia Romagna (consigliata da un’amica) infatti, venne resa ufficiale velocemente e, dopo qualche scambio di e-mail, con una rapidità inaspettata ma altrettanta gioia, giunse la telefonata di una volontaria della sede di Bologna, che ci invitò al primo incontro conoscitivo. Non sappiamo descrivere ancora oggi, a distanza di qualche settimana, quanto in meglio sia cambiata la nostra vita, sia verso una profonda consapevolezza della malattia sia verso gli stessi strumenti che ne vengono in aiuto. Quella chiacchierata, amichevole e protettiva, ci ha catapultati all’interno di una grande famiglia, ricca di valori e dal cuore grande, orientata al sostegno e alla solidarietà.
Ci siamo sentiti rapidamente rincuorati e accolti, la chiarezza con cui ci sono state date tutte le risposte di cui avevamo bisogno, poi, è stato in assoluto il dono più grande. Nondimeno però anche la semplicità con cui è stato approcciato il nesso tra il nuovo quotidiano “d’ora in poi…” e la gestione di tutti i piccolissimi ma fondamentali ingranaggi verso una ritrovata serenità. Con estrema sensibilità, ci è stato permesso di sentirci a casa e il paracadute familiare colmo di conoscenze e sorrisi ci ha riconcesso il dono della speranza. Il cammino è sicuramente lungo e articolato ma da questo incontro ne siamo usciti vincenti, irrobustiti e senza dubbio arricchiti. Per questo motivo in particolare abbiamo deciso di raccontare la nostra esperienza con AIC, fino ad ora sconosciuta e che desideriamo consigliare a tutti coloro che incontrano per la prima volta questo mondo, considerando l’associazione un sicuro ed indispensabile tassello.
La rete fitta di relazioni virtuose, la molteplicità degli eventi locali e nazionali, gli approfondimenti normativi aggiornati e puntuali e non in ultimo i disponibilissimi volontari che la popolano, è senza dubbio il ritratto più vero di quest’associazione dall’anima grande. Nel ringraziare ancora una volta in particolare il distretto di Bologna per l’attenzione e la premura avuta nei riguardi della nostra famiglia sicuramente nel momento più critico, desideriamo unirci a voi in un grande abbraccio sentito e sincero.
Valsamoggia (BO), 28/11/18
Barbara Calcinelli, mamma di Samuele, 2 anni e ½ , neo diagnosticato